L’insufficienza respiratoria è una condizione patologica causata dalla incapacità dell’apparato respiratorio di garantire adeguati scambi di ossigeno tra ambiente e sangue.
La ridotta capacità di garantire gli scambi gassosi da parte dell’organismo porta alla incapacità di ottenere adeguati valori di ossigeno e anidride carbonica nel sangue (definiti dal valore della pressione parziale di ossigeno PaO2 e di anidride carbonica PaCO2).
L’insufficienza respiratoria può essere acuta, quando la sua insorgenza è rapida e improvvisa, o cronica, ovvero quando si manifesta progressivamente per stabilizzarsi o evolvere nel tempo.
Le cause più frequenti di insufficienza respiratoria acuta sono: l’edema polmonare acuto, l’embolia polmonare massiva, lo pneumotorace iperteso, la crisi asmatica, la polmonite che causa sindrome da distress respiratorio acuta (come, ad esempio, la polmonite Covid-19 relata), i traumi, le intossicazioni da farmaci o tossine.
Le cause più comuni di insufficienza respiratoria cronica sono le malattie polmonari croniche quali La BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) o le malattie interstiziali polmonari (fibrosi polomonare), le malattie neurologiche come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), la sindrome obesità-ipoventilazione (o sindrome di Pickwick), la fibrosi cistica, l’ipertensione polmonare, le malattie cardiache congenite o croniche ingravescenti.
Manifestazioni comuni della insufficienza respiratoria sono la dispnea, ovvero la mancanza di respiro, la riduzione della saturazione dell’ossigeno, l’uso dei muscoli accessori della ventilazione, ma anche la sonnolenza fino al coma.
Come detto in precedenza l’insufficienza respiratoria può determinare alterazioni nei valori dell’ossigeno nel sangue, ma anche di anidride carbonica nel senso di una sua diminuzione o – cosa ben più grave – di un suo aumento. Questa distinzione è necessaria da tenere a mente quando si va a parlare di trattamento della insufficienza respiratoria.
Quando la pressione parziale di ossigeno nel sangue scende al di sotto di 55 mmHg allora è necessario trattare l’insufficienza respiratoria. Il primo trattamento atto a correggere l’ipossemia è la somministrazione di ossigeno. L’ossigeno può essere somministrato attraverso semplici cannule nasali, se il suo fabbisogno è basso, per poi passare a maschere di Venturi, ovvero dispositivi caratterizzati da un foro cui viene collegato un condotto, dal diametro di 2 cm circa, che termina con una valvola che permette di variare la concentrazione di O2 che si desidera somministrare. La caratteristica della maschera è costituita da una restrizione nel punto in cui l’aria ambiente si mescola con l’ossigeno, erogando così una miscela adatta alle necessità richieste dal paziente. La percentuale di ossigeno che può essere erogata arriva fino al 60%; infine, quando il fabbisogno di ossigeno è molto elevato, si può passare alla ossigenoterapia ad alti flussi attraverso nasocannule (High Flow Nasal Cannula, HFNC).
L’HFNC consiste in un sistema a circuito aperto di erogazione dell’ossigeno, umidificato e riscaldato, nel quale viene impostata una FiO2 (frazione inspirata di O2, ovverosia la percentuale di ossigeno inspirata da un paziente) da somministrare e un flusso di gas 50-70 L/min tale da essere superiore al picco di flusso inspiratorio del paziente. Questo consente la riduzione dello spazio morto anatomico, l’effettiva somministrazione della FiO2 impostata, la generazione di una pressione positiva variabile dai 3 ai 5 cmH20, utile a incrementare il volume polmonare e reclutare alveoli collassati.
Questi provvedimenti sono utili nella correzione della insufficienza respiratoria definita ipossemica e normocapnica, ovvero con valori di anidride carbonica (CO2) nella norma.
Alcune patologie (e fra esse la più comune è la BPCO), sono caratterizzate, oltre che da bassi valori di ossigeno, da elevati valori di anidride carbonica. L’ipercapnia è una condizione che porta all’accumulo di CO2 nel sangue e si manifesta inizialmente con iper-reattività e agitazione per poi, nella fase acuta, portare ad una riduzione dello stato di coscienza (il paziente appare sonnolento) fino al coma.
In questi casi non sarà sufficiente solo la correzione dell’iposssemia tramite la somministrazione di ossigeno che, anzi, deve essere controllata. Infatti, l’eccesso porterebbe ad un ulteriore aumento dell’anidride carbonica. Sarà dunque necessario ridurre i valori di CO2 mediante dispositivi di ventilazione non invasiva (NIV, paziente in terapia sub intensiva o a domicilio) e nei casi più gravi invasiva (paziente intubato in terapia intensiva o tracheotomizzato).
La ventilo-terapia non invasiva si effettua mediante un piccolo dispositivo che può essere anche domiciliare ed una interfaccia chiamata maschera, oro-nasale o nasale a seconda che copra naso e bocca o solo naso, fornisce aiuto alla respirazione permettendo di eliminare l’eccesso di anidride carbonica ed in alcune condizioni – come nelle malattie neuromuscolari – di dare supporto ai muscoli della respirazione non più in grado di effettuare tutto il lavoro in autonomia.
Può essere utilizzata in acuto, o in cronico; ad esempio, nel paziente affetto da BPCO durante la notte, quando i centri del respiro sono meno attivi e l’anidride carbonica si accumula più facilmente.